WE ARE THE WORLD: LA GENESI DI UN BRANO ICONICO
Fu una notte straordinaria quella del 28 gennaio 1985. Fu allora che alcuni dei nomi più importanti del panorama musicale si riunirono sotto uno stesso tetto per creare tutti insieme un brano, entrato a modo suo nella storia. Stiamo parlando di We Are the World, la cui origine intricata e complessa è al centro dell’omonimo documentario, sottotitolato “La notte che ha cambiato il pop”, da qualche giorno in cima alle Classifiche di Netflix e quindi degno protagonista del nostro appuntamento con Trending on Streaming.
UNA NOTTE EPICA
E così inizia un giro di chiamate, il primo di molti. Squilla subito il telefono di Lionel Richie, fresco di uscita dai Commodores. Lui a sua volta telefona a Stevie Wonder (che però non risponde) e Quincy Jones, l’unico produttore possibile per un pezzo così ambizioso. Questi non solo accetta, ma tira subito dentro un suo amico che è lì con lui perché stanno lavorando al suo prossimo album: Michael Jackson.
Il trio si mette al lavoro sulla creazione della canzone, compito che non risulta semplice tra impegni e agguati dei bizzarri animali domestici del Re del Pop. Ma la vera sfida non sarà questa. Bisogna infatti convincere più artisti possibili a partecipare al supergruppo e organizzare il ritrovo, in totale segretezza per evitare orde di fan. E soprattutto l’unica occasione utile è il 28 gennaio quando (quasi) tutte le star della musica si ritroveranno a Los Angeles per la consegna degli American Music Awards.
UNA SFIDA FOLLE E AMBIZIOSA
È una sfida folle. Riuscire a registrare un pezzo in una sola notte sarebbe anche fattibile. Farlo con un gruppo di più di 40 persone diverse che hanno avuto pochissimo tempo per prepararsi diventa decisamente più difficile. Tanto più se quella richiesta di “lasciare l’ego fuori dalla porta” posta su un iconico cartello all’ingresso della sala di registrazione viene costantemente disattesa.
Grandi pacche sulle spalle
Abbiamo scritto e riscritto queste righe, perché è difficile trovare il giusto equilibrio per parlare di questa storia. Raccontare We Are the World come uno dei brani più belli della storia della musica e che l’operazione abbia effettivamente risolto la crisi alimentare in Etiopia sarebbe ingenuo e falso. Dall’altra parte non si può neanche completamente ignorare i suoi meriti, fra cui gli oltre 100 milioni di dollari (che oggi sarebbero all’incirca 280 con l’inflazione) raccolti.
Possiamo però dire apertamente che il documentario in streaming su Netflix sulla storia di We Are the World questo equilibrio lo cerca poco. È abbastanza scontato che vada così, considerato l’ampio coinvolgimento di nomi centrali del progetto, a partire da Lionel Richie. I suoi contributi, così come quelli di Cindy Lauper, Huey Lewis, Bruce Springsteen e tanti altri sono preziosissimi. Ma si pagano con una narrazione piena di pacche sulle spalle.
C’è spazio per qualche controversia, come l’intricato piano per cercare di coinvolgere Prince nel progetto, ma tutto viene contenuto al minimo. Il tono del racconto è quello della grande impresa realizzata da Michael Jackson, Lionel Richie, Quincy Jones e tutti gli altri per riuscire a fare qualcosa di nobile.
Il documentario di We Are the World porta in streaming gli occhiali con le lenti rosa
Nei Paesi anglofoni esiste il concetto di “rose-tinted glasses” che indica una visione di qualcosa in maniera puramente positiva e ottimista, ignorando gli aspetti negativi. Ecco, il documentario dedicato a We Are the World, che trovate in streaming su Netflix, è caratterizzato da quello stesso spirito. Una storia raccontata quasi solo nella migliore luce possibile, che celebra sé stessa e chi vi ha partecipato.
Tuttavia è indubbiamente uno sguardo unico in uno dei momenti più straordinari e irripetibili (nonostante i tanti tentativi) della storia della musica pop. E poi c’è Lionel Richie che si dimostra un maestro nell’imitare i suoi colleghi cantanti. Davvero, è impressionante.