venerdì, Dicembre 20, 2024

Causa del New York Times contro OpenAI e Microsoft: violazione del copyright

NEW YORK TIMES FA CAUSA A OPENAI E Microsoft PER VIOLAZIONE DEL COPYRIGHT

Il quotidiano New York Times ha citato in giudizio OpenAI e Microsoft per violazione del diritto d’autore, sostenendo che milioni di articoli pubblicati dal Times sono stati utilizzati per addestrare chatbot automatizzati che ora competono con il giornale come fonte di informazioni affidabili.

IL NEW YORK TIMES NON CI STA: “USANO IL NOSTRO LAVORO PER FARE SOLDI SENZA RICONOSCERCI NULLA”

OpenAI è la società valutata dagli investitori più di 80 miliardi di dollari creatrice di ChatGPT, il chatbot basato sul modello linguistico di grandi dimensioni GPT che, come altre IA generative, è in grado di produrre testi dopo un addestramento con dati testuali esterni. Microsoft ha investito 13 miliardi di dollari in OpenAI, incorporando la Tecnologia della società di IA nel motore di ricerca Bing, e successivamente in altri prodotti e servizi della società, come Copilot, la suite office Microsoft 365, Windows e, usando anche modelli IA per creare Immagini dalla loro descrizione, in piattaforme come Bing Image Creator e Designer.

IL TIMES SOSTIENE LA VIOLAZIONE

Il Times sostiene nella causa che, essendo stati addestrati anche sugli articoli del Times, i modelli linguistici di OpenAI e Microsoft – che danno vita a ChatGPT e Copilot – “possono generare risultati che recitano alla lettera i contenuti del Times, li riassumono fedelmente e ne imitano lo stile espressivo”. Queste capacità privano il Times di “abbonamenti, licenze, pubblicità e ricavi da affiliazione”.

LA RISPOSTA DI OPENAI E MICROSOFT

OpenAI ha detto di aver “proceduto in modo costruttivo” nelle conversazioni con il Times e di essere “sorpresa e delusa dalla causa”, dato che “rispettiamo i diritti dei creatori e dei proprietari di contenuti e ci impegniamo a lavorare con loro per garantire che beneficino della tecnologia A.I. e di nuovi modelli di guadagno”, ha spiegato Lindsey Held, portavoce dell’azienda.

IL CASO NEL CONTESTO DELLE IA GENERATIVE

La causa del New York Times è solo l’ultima di altre proteste mosse da artisti e scrittori negli ultimi mesi per lo stesso motivo, come la causa intentata dai romanzieri John Grisham, George R.R Martin e Jonathan Franzen: le aziende IA addestrano i loro modelli su contenuti originali prodotti da altri soggetti senza riconoscere alcun compenso a questi ultimi (se non per i casi in cui c’è stato un accordo diretto).

LA DIATRIBA SULL’USO DEL LAVORO ALTRUI NELLE IA

In questi mesi il dialogo sul tema si è condensato principalmente in due opinioni: coloro che pensano che le IA generative usino il lavoro degli altri per far soldi senza alcun riconoscimento economico per i creatori dei contenuti originali; e coloro che pensano che l’arte e qualsiasi altra attività umana abbiano sempre attinto dalle idee che le hanno precedute, quindi le IA non fanno altro che ricalcare questo paradigma. Gli entusiasti delle IA generative sono convinti che questi modelli possano aiutare a creare nuove occupazioni e facilitare certe attività o mestieri, così come la tecnologia ha sempre fatto, modificando anche lo scenario lavorativo. I detrattori delle IA generative credono invece che queste “sostituzioni” non siano paragonabili a quanto visto finora, perché sono molto più rapide di qualsiasi modifica sociale e lavorativa avvenuta nel corso di generazioni e in un periodo di tempo più lungo.

CONCLUSIONE

La citazione in giudizio del New York Times nei confronti di due giganti come OpenAI e Microsoft potrebbe essere più impattante nel dialogo sullo sviluppo e sull’uso delle IA generative, perché tocca un macro-argomento come quello dell’informazione. I risvolti della causa, più che per il risultato della causa in sé, potrebbero essere importanti per le ricadute che otterrà nel medio e lungo termine, chiunque ne uscirà vincitore.

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